Selva Gardena
attraverso i secoli

Selva 1914-1945

Il periodo tra le due grandi guerre

Sëlva da Burdengëia ju.
Bera Arcangiul Lardschneider de Ciampac (1886-1950) cun n saudé.

Il Sud-Tirolo era in effetti già stato promesso in segreto dagli alleati all’Italia con il Trattato di Londra del 1915 e, dopo, con il Trattato di St. Germain del 1919, ciò accadde definitivamente. Il censimento della popolazione austriaca, che considerava i ladini come italiani, per il fatto che non avevano nessuna lingua scritta e quella parlata non era considerata lingua amministrativa, aiutò lo Stato Italiano a pretendere il confine del Brennero. Il fatto che i ladini fossero stati considerati italiani agevolò i rappresentanti del nazionalismo italiano per incamerarli e con loro naturalmente anche i sud-tirolesi di lingua tedesca. La politica adattò ai suoi scopi il censimento della popolazione. In Italia, nel 1922 andò al governo il fascismo ed Ettore Tolomei, nominato da Mussolini Senatore del Regno nel 1923, iniziò ad attuare il suo programma di 32 punti con la denazionalizzazione e la italianizzazione del Sud-Tirolo. Dopo una prima fase di sottomissione culturale, seguì la seconda fase di sottomissione economica. Ai sud-tirolesi non rimase altro che chiudersi in se stessi. Michael Gamper, con le sue “Scuole Catacombe”, in cui veniva insegnata di nascosto la lingua tedesca, fu il simbolo della resistenza del nostro popolo. La politica fascista iniziò nell’anno 1923 con l’intenzione di fare dei sud-tirolesi una minoranza e quindi costituì la provincia unica di Trento-Bolzano. Dall’anno 1927 fu di nuovo istituita la Provincia di Bolzano, sottoponendola a un trattamento particolare. In questa situazione politica di sottomissione incominciò per i sud-tirolesi un secondo processo di allontanamento dalla propria patria, portandoli ad identificarsi oltre che col Tirolo, con l’Austria e in ultimo con la “Grande Germania” (Leopold Steurer). Dopo l’avvento al potere di Hitler nel 1933, fu costituito il “Circolo combattenti del Sud-Tirolo” (VKS), organizzazione simile a un partito, che presentava una struttura gerarchica rigorosa ed era guidata secondo il principio del “Führer”. Dopo l’annessione dell’Austria al “Reich” nel marzo del 1938 sembrava che fosse solo una questione di tempo, finché il “Führer” non avesse “portato a casa nell’Impero” anche il Sud-Tirolo. Pochi erano d’accordo ad accettare la rinuncia all’Alto Adige, così come Hitler aveva ripetutamente dichiarato già dal 1920 in poi. Secondo la revisione delle disposizioni di pace portate avanti dal “Führer” e soprattutto dopo l’annessione dell’Austria all’“Impero”, la questione sud-tirolese disturbava sempre di più i rapporti tra la “Grande Germania” e l’Italia. Su questo parla chiaro il diario del ministro italiano degli affari esteri Ciano: “L’Italia pretende dalla Germania che il confine sul Brennero sia sicuro. Dal momento che non si possono spostare le montagne e i fiumi, bisogna dunque spostare le persone”. In tal modo si giunse nell’anno 1939 a quel progetto radicale conosciuto come l’opzione, cioè la scelta tra la cittadinanza tedesca o italiana.Una delle cause che spinsero molti sud-tirolesi nel 1939 ad optare per l’“Impero”, era soprattutto il fatto di essere trattati veramente male in patria. La popolazione del Sud-Tirolo si divise tra “Germanofili” che sarebbero espatriati verso il “Reich” e i “Dableiber”, cioè coloro che volevano restare sul posto, creando una grossa rivalità tra le due fazioni. Ogni sud-tirolese si trovava nella scomoda posizione “di dover scegliere di restare oppure di andarsene e lasciare la propria patria rinunciando alla tradizione e alle proprie usanze”. Dopo la caduta di Mussolini e dopo che l’Italia era passata dalla parte degli alleati, le truppe tedesche la occuparono nel 1945. Nel Sud-Tirolo gran parte della popolazione era assai contenta, perché da quel momento crebbe la speranza di venir liberati dal fascismo italiano, tanto che l’opzione e il trasferirsi non avrebbero avuto più ragion d’essere. L’Alto Adige apparteneva sempre allo stato italiano, ma Hitler aveva aggiunto un’annessione “de facto” del Sud-Tirolo con il suo “Reich”: la “Zona di Operazione delle Prealpi” che comprendeva le tre provincie di Bolzano, Trento e Belluno. A capo c’erano i commissari comunali, che dipendevano dal “Comandante di circoscrizione” Franz Hofer di Vorarlberg-Tirol. In breve tempo furono costituiti tribunali speciali per giudicare i criminali e quelli che la pensavano diversamente. Sul posto c’erano le “Unità SOD” (Servizio d’ordine del Sud-Tirolo) che portavano avanti una germanizzazione piuttosto marcata. Questo comportava, soprattutto nelle vallate ladine, che sempre più spesso si litigava tra i “Dableiber” (chi rimaneva) e quelli che avevano optato per l’“Impero”; qualche “Dableiber” veniva perfino forzatamente denunciato ai soldati tedeschi. Il non presentarsi all’esercito tedesco dopo esser stati richiamati era uno dei reati che veniva denunciato più frequentemente nei tribunali speciali del nazionalsocialismo. Tra la minoranza costituita dai ”Dableiber”, c’erano soprattutto preti e cattolici che si erano dati da fare per la politica e che facevano opposizione contro la propaganda del regime nazionalsocialista. Dopo il 1945 il Sud-Tirolo restò per poco tempo sotto il controllo degli americani e nell’autunno dello stesso anno fu presa dagli alleati la decisione che segnò la futura storia dell’Alto Adige: ai sud-tirolesi non veniva concessa l’autodeterminazione; il Sud-Tirolo restava annesso all’Italia, ma gli veniva concessa un’ampia autonomia amministrativa. La gran parte degli optanti poté riottenere la cittadinanza italiana grazie ai “decreti sugli optanti”, che annullarono le opzioni del 1939, inserendo la clausola nel trattato De Gasperi-Gruber del 6 settembre 1946. L’autonomia decisa e dichiarata nell’Accordo di Parigi tra Austria e Italia assunse, come parte del trattato di pace, un carattere internazionale, anche se i ladini non furono neppure nominati.

La Prima Grande Guerra
Dopo che l’Italia dichiarò guerra all’Austria a causa del confine con il Brennero, il Trentino-Alto Adige diventò territorio bellico e il fronte passava proprio in mezzo alle valli ladine. Ci sarebbe tanto da scriverne, se si volesse raccontare tutto ciò che si sa di esso e soprattutto le tragedie nelle valli di Livinallongo e Ampezzo; e se inoltre si volesse descrivere la guerra di posizione di Austria contro Italia tra le montagne e nel ghiaccio intorno ai passi dolomitici: sul Pordoi, Campolongo, Falzarego, Col di Lana, Lagazuoi e Marmolada e ancora in mezzo alle valli ladine più a nord da una parte, Val Gardena e Val Badia, e verso sud Val di Fassa e Livinallongo. Selva conta purtroppo 34 caduti o dispersi durante la Grande Guerra. Con il trattato di pace, dopo la Prima Guerra Mondiale, l’Italia ottenne il confine del Brennero che aveva così tenacemente preteso con il Trentino-Alto Adige, compreso il territorio dei ladini delle Dolomiti.

La Ladinia e Selva fra le due guerre - L’opzione
Il territorio ladino nel Sud-Tirolo fu subito dopo la Prima Grande Guerra il primo posto in cui la politica nazionalista fece il suo ingresso e più precisamente nell’anno 1921 con la “Legge Corbino”. Essa imponeva che le famiglie ladine dovessero mandare i figli nelle scuole italiane, dato che i ladini erano considerati tali. Cominciò per loro già dal 1921 il processo di denazionalizzazione presso le scuole italiane, che per la popolazione tedesca dell’Alto Adige iniziò nel 1923 con la “Legge Gentile”. In quell’anno i ladini dovettero addirittura venir divisi su tre province: “stroncare la solidarietà ladina” diceva Tolomei della sua politica riguardante la Ladinia. Il significato di questa parola doveva essere distrutto e la storia dei ladini avrebbe dovuto disperdersi per quei sentieri... per non ritrovarsi più insieme. La Ladinia fu così divisa amministrativamente in tre parti: Trento, Belluno e Bolzano.

La spartizione dei ladini e la sottomissione ai fascisti legò politicamente i tedeschi e i ladini ancora di più, soprattutto quelli della Val Gardena, dimodoché questa tripartizione della Ladinia e la solidarietà tra ladini e tedeschi ebbe le sue ripercussioni sull’opzione. Da parte italiana - dopo qualche reticenza - fu dato il permesso che la Ladinia prendesse parte all’opzione. Secondo l’opinione di Tolomei, con il fatto di aver permesso ai ladini di optare era stato commesso un grande errore storico, imperdonabile. Infatti cosí si era indebolita la giustificazione del confine sul Brennero. La Val di Fassa, in provincia di Trento, non era stata neppure chiamata all’opzione; a Ampezzo, in provincia di Belluno le opzioni erano state impedite da gruppi di italiani legati a Tolomei; in Val Gardena, in Val Badia e in Valle di Livinallongo i risultati dell’opzione erano molto differenti tra di loro: in Val Badia il 36% aveva optato per il “Reich”, più o meno come in quella di Livinallongo, in Val Gardena invece aveva optato per il “Reich” l’80% come nel resto del Sud-Tirolo. Da parte del “Reich”, oltre alla politica etnica, c’era un secondo aspetto economico per dare il permesso ai ladini di optare. La popolazione gardenese con la scultura in legno era in grado di sostenere un ramo economico molto interessante per il “Reich”, tanto che fu programmato di espatriare i gardenesi unificandoli nella sola zona della Carinzia. Il “Commissario del Reich per il rafforzamento del carattere nazionale tedesco” metteva in risalto il problema di “come questa azione fosse da portare a fine e in gran fretta”. Perciò i gardenesi furono scelti come “cavie” per “un insediamento del tutto nuovo in un luogo”.  In Comune a Selva durante l’ultima settimana di novembre del 1939 furono consegnate: 7 dichiarazioni per mantenere la cittadinanza italiana per 9 persone imparentate e 17 dichiarazioni per ottenere la cittadinanza tedesca per 46 persone imparentate. Durante l’ultima settimana di dicembre, quando scadeva anche il termine dell’opzione a Selva, i risultati furono quasi uguali a prima: 11 dichiarazioni di colore bianco (Italia) per 21 cittadini e 26 dichiarazioni (Reich) di colore arancio per 45 cittadini. Il trasferimento dei gardenesi sarebbe dovuto diventare un buon esempio di politica di insediamento e di politica etnica del nazionalsocialismo. Escludere così ancora una volta una porzione della Ladinia faceva parte del programma e sembrava addirittura che la gente in valle se lo augurasse, ma alla fin fine non si arrivò a tanto. Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale, susseguitisi uno dietro l’altro, costrinsero i due regimi ad abbandonare il progetto della opzione. Il numero delle persone che se ne erano veramente andate dalla Val Gardena era di circa 1500 e questo era anche la media del rimanente Sud-Tirolo, cioè un terzo di quelli che avevano optato per il “Terzo Reich”. In tal modo i tempi intorno alla fine della Seconda Guerra Mondiale non solo furono segnati dal dolore e dai vari dispiaceri delle persone, ma per di più e soprattutto dai cambiamenti di potere che continuavano a verificarsi e da un futuro che sembrava veramente incerto. In Val Gardena e a Selva si era creata una “situazione press’a poco come in una guerra civile” tra gli optanti per l’uno o l’altro Stato.

Il conflitto in Val Gardena dal maggio del 1945
Ci sarebbe di nuovo tanto da raccontare e non sarebbe facile parlare della situazione politica del Sud-Tirolo durante gli anni 1943/44/45, quando la nostra regione era veramente “congiunta” con il “Terzo Reich”.  L’opzione aveva diviso la popolazione della nostra valle ancor più del resto della Provincia di Bolzano. Veniva domandato e preteso sia dagli stessi gardenesi che dalle autorità nazionalsocialiste che la comunità della valle rimanesse unita. In tal modo si erano acuite ancor di più che nel resto dell’Alto Adige le differenze e i rimorsi di coscienza tra coloro che avevano optato per il “Reich” e i “Dableiber” (coloro che restavano sul posto). Dopo l’armistizio italiano con gli alleati dell’8 settembre 1943 e dopo l’occupazione tedesca dell’Italia e del Sud-Tirolo, il “Comando dei gruppi popolari” della Val Gardena si lasciarono andare con estrema cattiveria contro coloro che avevano scelto di rimanere. Alcuni optanti per il “Reich” si erano riuniti in qualità di “Capi dei gruppi popolari” nel “Servizio per l’Ordine e la Sicurezza (SOD)”, un’organizzazione nazista avente funzioni come la Polizia. Uno dei suoi strumenti per provocare l’altra parte era la chiamata alle armi presso l’esercito tedesco. Questo era come una sentenza di condanna, che significava andare in guerra ed essere presi prigionieri. Proprio in Val Gardena ciò toccava soprattutto alla minoranza “scomoda” dei “Dableiber”, di doversi sottomettere definitivamente a quelli che avevano optato per il “Reich”. Vorrei riferire e dare una spiegazione su un caso particolarmente triste e assai straordinario che si verificò proprio nella nostra valle. Nel maggio 1945 furono strappate dal letto all’alba e trascinate via da “gruppi partigiani” cinque persone molto note e stimate, conosciute come optanti per il “Reich”, durante una retata di pulizia etnica selvaggia da parte di partigiani, con una vendetta soffocata nel sangue. Nel bosco di Pescul, al Passo Staulanza (Belluno), essi furono maltrattati e uccisi con grande brutalità. Solo grazie all’intervento delle truppe di occupazione americane, non furono toccati dallo stesso destino altri 50 abitanti della Val Gardena. Questo massacro grazie a Dio è l’unico del genere verificatosi a fine guerra in Alto Adige e nella Ladinia ed ha purtroppo segnato la storia e la memoria di molte famiglie della nostra valle che, pur avendo optato per l’una o l’altra parte, erano solo vittime della politica e della pubblicità nazista e fascista di quei tempi.

Governatori e ufficiali nazisti, fuggiaschi a Selva
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Trentino-Alto Adige diventò per molti funzionari nazisti e per le loro famiglie l’ultimo posto dove nascondersi, prima di scappare oltre oceano. Sebbene la gente si sottomettesse ancora all’ultima pretesa nazista (“Guerra totale”), il “Terzo Reich” era sull’orlo della disfatta, ancora prima che i soldati americani e i russi fossero entrati a Berlino. Sia le truppe degli alleati che i servizi segreti avevano fretta di snidare e condannare i nazisti. Anche Selva fu uno dei luoghi dove confluí un gruppetto di partenti dei nazisti scappati, che miravano soltanto a nascondere il più velocemente possibile se stessi e tutti i segni del terrore.
L’organizzazione segreta “Odessa” (Organizzazione degli appartenenti un tempo alle SS), potente rete che si occupava di aiutare coloro che dovevano scappare, formava un intreccio complicato tra persone, istituzioni come la chiesa, la croce rossa internazionale e le nazioni. Attraverso questo sistema un gruppo di criminali di guerra era stato capace di trovare strade per fuggire che passavano attraverso l’Italia, spesso attraverso il Trentino-Alto Adige, per poi trasferirsi al di là dell’oceano. Negli ultimi giorni di guerra, Gerda Bormann, moglie del segretario di Hitler Martin Bormann, era riuscita a scappare dalle bombe sganciate dalle fortezze volanti degli alleati nel mese di aprile del 1945. Era fuggita con i suoi otto bambini da Obersalzberg, il luogo di soggiorno estivo del “Führer” ed era passata attraverso Innsbruck per arrivare poi nel Sud-Tirolo. A S. Cristina di Val Gardena aveva trovato il suo primo alloggio provvisorio che dovette lasciare, perché la casa fu occupata da una “Postazione delle Forze Armate tedesche”. Per Gerda Bormann, da lì in avanti con il nome di “Bergmann”, fu trovata poi una bella casa a Selva, la “Cësa Brida” (o castelletto di Wolkenstein, attuale villa Dolomiti). Subito dopo essere arrivata nella nostra località Gerda Bormann si ammalò e fu portata all’ospedale di Bolzano e in seguito, nell’ottobre 1945, le forze di occupazione inglesi la trasferirono nel lazzaretto di guerra di Merano. I suoi bambini furono divisi tra varie famiglie fidate di Selva. Il piccolo Helmuth frequentò la quarta classe elementare a Selva, durante l’anno scolastico 1945/1946. Abitava alla “Villa Stevia” e anche due dei suoi fratelli andarono nella medesima scuola. Durante l’ora di religione non stavano in classe, cosa che creava grande meraviglia tra i bimbi di Selva. Nel marzo 1946 Gerda Bormann morì. Anche Margarethe Boden Himmler, la moglie del comandante della polizia  delle SS Heinrich Himmler, stava a Selva con sua figlia, a “Casa al Monte”. Ma dopo che arrivarono qui gli alleati, la Himmler fu presa, rinchiusa a Bolzano, poi a Verona, Firenze e Roma e alla fine la lasciarono libera dalla prigione di Norimberga, per internarla in una casa di cura. Sicuramente anche Heinrich Himmler era venuto di persona a Selva a farle visita. Ancora durante l’anno 1944 si ritrovarono all’hotel Oswald circa 80 generali nazisti per discutere sugli ultimi e disperati progetti di guerra.

La scuola: Rufach e Selva. La conseguenza dell’opzione
La famosa opzione del 1939 ebbe conseguenze anche sulla scuola. Secondo le disposizioni sull’emigrazione e il ritorno di “quelli di nazionalità tedesca” dal Trentino-Alto Adige nel “Reich”, fu previsto che, solo per i genitori che avevano optato per l’Impero, c’era la possibilità di poter far prendere legalmente lezioni private di tedesco ai loro figli. Il sovraintendente dell’“Associazione dei tedeschi rimpatriati ed espatriati ufficialmente (ADERST)”, l’ufficiale delle ”SS” Wilhelm Luig e l’intendete delle scuole italiane Armando Frattini fecero sapere nel gennaio 1940, che erano stati istituiti corsi di lingua tedesca solo per i “figli degli optanti” ed erano considerati come corsi di lingua. Nel marzo del 1940 erano già state aperte in Trentino-Alto Adige 288 scuole con 465 insegnanti. Alla popolazione non sembrava vero di avere una tale scuola nello stato italiano e sotto il regime fascista. Invece le scuole superiori non furono concesse ai sud-tirolesi. La direzione didattica poteva solo fare in modo che gli scolari migliori ottenessero un’istruzione superiore nel “Terzo Reich”. Durante l’estate del 1940 fu chiesto a 430 giovani altoatesini di ritrovarsi all’Alpe di Siusi e ne furono scelti 324, considerati adatti a frequentare istituti superiori per diventare maestri a Innsbruck, Feldkirch, Salisburgo, Klagenfurt, Wels e Graz. Un’altra possibilità fu quella di far domanda per poter essere ammessi all’“Istituto Superiore di tedesco per il popolo” a Rufach e Achern in Germania. Dato che mancavano istituti superiori nel Sud-Tirolo, i genitori si mossero ancora di più, soprattutto dopo il settembre 1943, per farne richiesta. Il primo punto difficile da chiarire fu dove alloggiare gli studenti. Le vallate erano più sicure che la città di Bolzano, soggetta a ripetuti bombardamenti. Si pensò allora agli alberghi di qui che non erano ancora stati adibiti a ospedali militari. I progetti furono accettati per due località: Merano e la Val Gardena. A Selva fu dunque organizzata una scuola superiore con 100 posti. Non fu facile tenere una scuola con regolarità, perchè spesso veniva dato l’allarme per aerei in arrivo e maestri e scolari dovevano scappare nei bunker. A Selva furono messi a disposizione gli hotel Oswald, Luna-Juan e La Gërva (Posta) e le lezioni poterono essere proseguite. Si ritrovarono così insieme circa 200 scolari delle superiori e 12 professori sotto la guida del direttore di Innsbruck Rudolf Gruner. Nei due alberghi Grisi (Wolkenstein) e Maciaconi funzionò un’altra scuola superiore con 80 ragazze e 7 professori. Oltre a questi c’erano ancora due istituti superiori, nel Johanneum a Tirolo (vicino a Merano) e a Milland (vicino a Bressanone). Alla fine di aprile del 1945, gli eventi bellici fecero sì che tutte le scuole diventassero ospedali militari e per questo fatto vennero chiuse. La scuola superiore a Selva si svuotò ai primi di maggio del 1945; la direzione della scuola e i professori se ne andarono tutti via.